domenica

Migliaia per l'ultimo a saluto a Sandri. L'Atalanta: basta ultras delinquenti


Erano migliaia, c'è chi dice cinquemila, altri diecimila. Comunque erano proprio tanti i tifosi ultrà e i giovani che hanno partecipato ai funerali del dj Gabriele Sandri, il giovane tifoso della Lazio ucciso domenica scorsa da un colpo di pistola sparato ad altezza d'uomo dall'agente della Polstrada Luigi Spaccarotella. I giovani in coro e con striscioni hanno chiesto più volte "Giustizia". Fuori della chiesa e in varie strade della capitale, però, sono apparse anche scritte minacciose che promettono "Vendetta per Gabriele".

A queste replica indirettamente il parroco della chiesa San Pio X don Paolo Tammi, che, nel corso dell'omelia ha detto: "A tutti voi amici di Gabriele voglio dire che Gabriele era un ragazzo sano e buono e nei suoi occhi non c'era vendetta. Per questo vi dico non fate violenze perché non portano alcuna giustizia". I caso di disordini il ministro dell'Interno Giuliano Amato ha ammonito: in caso di disordini "come quelli di domenica sera, la scelta non sarebbe quella dell'altra sera quando le forze di polizia decisero di evitare lo scontro fisico". "Oggi - ha affermato Amato - la scelta non sarebbe questa. Dipende da cosa accade".

In chiesa sono state deposte accanto alla bara di Gabriele anche le corone di fiori del Comune, della Provincia ma anche del Capo della polizia Antonio Manganelli. Nella parrocchia San Pio X c'è stato anche un lungo abbraccio tra il sindaco di Roma Walter Veltroni e i genitori di Gabriele Sandri.

Ai funerali è giunta al completo anche la squadra della Lazio, accompagnata dall'allenatore Delio Rossi. I giocatori sono stati accolti da un lungo applauso sia sulla scalinata che all'interno della chiesa. Ma a rendere omaggio al giovane Dj è andato anche il capitano della Roma Francesco Totti e l'allenatore Luciano Spalletti. Totti, che è entrato da un ingresso secondario della chiesa, visibilmente commosso, ha abbracciato la madre di Gabriele, Daniela.

Diversi manifesti a lutto sono apparsi questa mattina sui muri della capitale. Si tratta di manifesti neri dove è scritto in bianco: "Gabriele, Roma ti piange". Numerosi gli striscioni che sono stati appesi sul cancello esterno della parrocchia. A conclusione della messa la bara di Gabriele Sandri è uscita dalla chiesa portata a spalla dai suoi amici. La folla sulla scalinata e in piazza della Balduina ha gridato come un coro da stadio "giustizia, giustizia" e poi ancora "Gabriele, Gabriele ai veri laziali battiamo le mani". Poi tutti hanno cantato l'inno di Mameli.

La davastazione di Roma: in prigione tre ultras
E' stata confermata dal gip Enrico Imprudente l'aggravante della "condotta con finalità di terrorismo" per due dei quattro ultras fermati domenica sera, a Roma, nel corso degli incidenti verificatisi dopo la morte di Gabriele Sandi. Il giudice, che secondo i difensori "ha accolto in pieno le ipotesi della Procura" ha convalidato, finora, tre fermi. Per Claudio Gugliotti, 21 anni, e per Saverio Candamano, 27, sono stati contestati i reati di devastazione, violenza e lesioni a pubblico ufficiale, possesso di oggetti contundenti e dovranno rispondere dell'aggravante prevista dell'articolo 270 sexies del Codice penale, che riguarda i fatti di terrorismo. Il Gip ha convalidato la misura anche per Valerio Minotti, 21 anni, per cui invece la Procura non chiedeva l'emissione della misura cautelare rafforzata dall'aggravante.

Parroco: chiediamo giustizia e presto
"Chiediamo giustizia, verità e presto. E lo chiediamo alle istituzioni qui presenti. Chiediamo di fare presto perché poi verrà piano piano anche il perdono". Un applauso scrosciante di tutta la chiesa èstato rivolto a don Paolo Tammi che ha pronunciato queste parole nell'aprire l'omelia durante i funerali di Gabriele Sandri. Applausi e lacrime che nessuno è riuscito a trattenere. Il parroco si è rivolto direttamente alle autorità presenti ma anche agli amici di Gabriele chiedendo "di fermare la violenza". "Stiamo vivendo una situazione allucinante - ha aggiunto il sacerdote - cosa avesse fatto Gabriele per non vivere più ancora non lo abbiamo capito. E' un dolore forte, lancinante e non c'è ragione al mondo che lo spieghi. Qui ci sono persone arrabbiate, angosciate e deluse. Non si poteva evitare tutto questo?".

A Bergamo
Il tecnico dell'Atalanta, Luigi Delneri, e tutti i giocatori della squadra bergamasca si sono schierati al fianco del presidente Ivan Ruggeri, nella condanna unanime dei violenti che domenica scorsa hanno portato alla sospensione della partita con il Milan. "Noi quei delinquenti allo stadio non ce li vogliamo", hanno dichiarato i nerazzurri in un comunicato che porta la loro firma.

"Noi, allenatore e calciatori dell' Atalanta -recita il comunicato-, sentiamo il dovere morale di appoggiare pubblicamente e incondizionatamente la dura presa di posizione del Presidente Ivan Ruggeri contro i delinquenti che domenica scorsa hanno causato gli incidenti allo stadio di Bergamo, generando vergogna per tutta la città". "Noi quei delinquenti non li vogliamo più, né allo stadio né agli allenamenti -conclude la nota- noi vogliamo solo il tifo e l'affetto degli sportivi veri che domenica hanno pesantemente contestato il comportamento violento di questa minoranza".

L'OMICIDIO DI BADIA AL PINO
Il fratello del tifoso ucciso:
"Nessuno infanghi Gabriele"
L'avvocato: "Il questore ha mentito"
Duro sfogo di Cristiano Sandri, fratello del ragazzo ucciso domenica in un autogrill. "Questa è una vicenda che non ha nulla a che fare con il calcio, basta con le strumentalizzazioni. Monaco, legale della famiglia Sandri: "Gabriele non aveva nessun sasso in tasca"


Roma, 16 novembre 2007 - "Mio fratello è stato assassinato, ammazzato in un autogrill. Il calcio non c'entra nulla e non accetto strumentalizzazioni". La conferenza stampa indetta da Cristiano Sandri, fratello di Gabriele il tifoso della Lazio ucciso da un poliziotto domenica scorsa, ha tutta l'aria di avere lo scopo di non far calare l'attenzione su quanto avvenuto. Cristiano, affiancato dal padre Giorgio, e dagli avvocati Michele Monaco e Luigi Conti, lo dice tra le righe quando spiega di aver convocato la stampa per fare alcune "puntualizzazioni".

La prima riguarda il comportamento del questore di Arezzo. Sandri ricorda che "l'omicidio" (definisce sempre cosi' quanto accaduto da Gabriele), "e' avvenuto intorno alle 9 e gia' alle 10 la polizia aveva il quadro della situazione ben chiaro". Eppure sostengono Cristiano e l'avvocato Monaco "il questore di Arezzo sin dall'inizio ha dato una versione falsa dell'uccisione di Gabriele".

Per Monaco "e' partita una vera e propria difesa corporativistica verso il poliziotto che ha alimentato dubbi su tutta la vicenda. Il questore di Arezzo ha mentito per non capisco quale motivo e saranno problemi suoi. Noi non agiremo contro di lui, ma le parole dette nella conferenza di domenica hanno ucciso per la seconda volta Gabriele".

Cristiano ricorda quindi come "sono stato per dieci ore su quell'autogrill senza ricevere una sola telefonata dalla questura. La prima e' arrivata intorno alle 23 e mi si chiedeva se avevo bisogno di qualcosa". Ben diverso e' stato il comportamento del capo della squadra mobile aretina, "una persona squisita", e del sindaco di Roma, Walter Veltroni, "che si e' messo a nostra completa disposizione". Il fratello di Gabriele ricorda quindi che "la seconda persona che ci ha portato le condoglianze e' stato il presidente Napolitano che si e' detto sbigottito di quanto fosse avvenuto".

La famiglia Sandri preferisce non parlare delle ultime indiscrezioni provenienti da Arezzo secondo cui i tifosi laziali, fra cui Gabriele, avrebbero teso un vero e proprio agguato, con tanto di coltelli, pietre e ombrelli, ai cinque tifosi juventini presenti sulla Mercedes. "Non parliamo di questo - dice Cristiano - e comunque il fatto non rende meno grave l'accaduto. Domenica e' successo qualcosa che in uno stato civile non dovrebbe accadere. Un poliziotto ha puntato l'arma e colpito un innocente senza capire che cosa stava o era successo".

"Non sono stati trovati sassi - interviene l'avvocato Monaco - e comunque ci possono essere sassi di 1 millimetro e sassi di 10 centimetri, qui non parliamo di sassi in termini offensivi ma di micro formazioni calcare. E' impossibile che Gabriele avesse oggetti contundenti con se', non e' partito con nulla". In merito al fatto che sarebbe stato trovato solo uno dei due bossoli, il legale allarga le braccia dicendo "pazienza".



Cristiano ricorda Gabriele come "un ragazzo che lavorava nell'azienda di famiglia e che aveva due passioni: la musica e la Lazio. Seguiva la sua squadra in casa e in trasferta, era un tifoso insomma. Per questo, credo, al suo funerale ci fossero migliaia di tifosi provenienti da tutta Italia. Il calcio e il tifo violento- ribadisce- con la morte di Gabriele, pero', non c'entrano nulla".

Non manca un'accusa anche al modo su come e' stata gestita la vicenda. "E' una situazione assurda- sostiene Cristiano Sandri- ma mi chiedo come e' possibile sbagliare cosi' i tempi della comunicazione e alimentare sentimenti di chi non aspettava altro".

Qualcuno gli chiede infine se, come detto da don Paolo nell'omelia funebre, arrivera' mai il tempo del perdono. "Sicuramente non adesso", la secca risposta di Cristiano.

Cinquemila tifosi e un funerale
C’erano quasi tutte le curve d’Italia ieri a Roma per l’addio a Gabriele Sandri. Senza sirene né disordini, con i poliziotti in borghese, ma con un chiaro linguaggio, un’enigmatica pax e una nuova cultura ultras Roma. Dentro. La voce della mamma, il fiore della polizia, la corona del sindaco, le lacrime della Lazio, gli occhi di Francesco Totti, la voce di Di Pietro, l’abbraccio del sindaco, lo sguardo del prefetto, la telecamera del tifoso, il microfono del fratello, le note della Nannini, le parole del parroco (“cosa avesse fatto per non vivere ancora non si è capito”) e poi le sciarpe bianco e azzurre, giallo e rosse, nero e azzurre, rosso e nere poggiate qui, sopra la bara del ventottenne Gabriele Sandri, il dj romano tifoso della Lazio ucciso domenica mattina in un autogrill, a pochi chilometri da Arezzo, con un proiettile partito dalla pistola di un poliziotto. Dentro, Gabriele. Fuori, invece, la piazza, la divisa, lo striscione, le scarpe New Balance, il bomberino nero, i jeans stretti alla caviglia, il cappellino con l’aquila biancoceleste, i fischi a chi oggi urla contro la polizia e poi la veglia, gli sguardi, il tifo, gli applausi, le bandiere, le bandane, i cori, i colori, il saluto romano e una strada con la sua cultura che batte le mani come mai aveva fatto prima; e non (solo) per ricordare il colore della maglia di un tifoso ma perché, in quell’autogrill, in quella macchina, in quella strada e in quella trasferta al posto di Gabriele Sandri ci sarebbe potuta essere una qualsiasi delle cinquemila persone arrivate ieri nella piazza di fronte alla chiesa San Pio X, a Roma, a Monte Mario, in zona Balduina. E non c’è stato nessuno scontro, nessuna sirena, nessuna macchina della polizia, ieri: solo un centinaio di agenti in borghese, qualche telecamera nascosta tra le finestre, i tifosi della Lazio arrivati prestissimo, un paio di ragazzi con minacciosi caschi da sommossa schierati dietro l’angolo e poi via via tutti gli altri, tutte le altre tifoserie che l’ultima volta che si erano incontrate così, tutte quante, lo avevano fatto nel 1989; quando un tifoso del Milan ne aveva accoltellato uno del Genoa (“Spagna”) e quando, dopo quel pomeriggio, gli ultras si erano segretamente incontrati e avevano firmato, tra loro, una breve ma osservata pax.
Solo che ieri è successo qualcos’altro, perché la cultura della strada, la cultura – a volte un po’ catacombale – dell’ultras la si capisce, in certi casi, anche quando parla sottovoce. Ecco, non era mai successo che ci fossero qui, in pubblico e in piazza tutti insieme, i tifosi del Genoa, della Fiorentina, del Torino, della Reggina, del Cagliari, del Bologna, dell’Avellino, del Catanzaro, del Catania e naturalmente della Roma; non era mai successo che così, davanti a tutti, interisti e milanisti arrivassero simbolicamente a Roma con gli stessi treni; non era mai successo che i tifosi di Bergamo – dell’Atalanta – dopo aver fatto interrompere domenica una gara di campionato, per rispetto verso la storica tifoseria nemica della Lazio, arrivassero solidali a Roma, insieme con i tifosi della Ternana e della Fiorentina. Ma soprattutto non era mai successo che di fronte a tutte le altre tifoserie nemiche a Roma si presentassero con le sciarpe azzurre quei tifosi a cui le forze dell’ordine hanno recentemente proibito l’ingresso negli stadi di Roma e di Palermo e che invece si sono presentati, improvvisamente, ieri mattina dietro piazza della Balduina: mettendo in silenzioso allarme il servizio d’ordine della tifoseria laziale (e il suo uomo forte, detto “Tonno”) arrivando, come da protocollo, in un robusto gruppo da trenta, portando con sé i colori del Napoli, offrendo una corona di fiori al tifoso ucciso e dando il via a un coro che nel linguaggio un po’ da strada e un po’ da ultras è stato ben recepito: “Ga-bri-e-le-u-no-di-no-i”. E non ha nulla a che vedere con quel “codice di violenza locale del posto pieno di lupi dove nessuno può imporci le logiche da lupo”, di cui parlava Francesco Merlo la scorsa settimana su Repubblica. “Questa è una santa alleanza tra ultras, significa zero scontri tra curve, significa meno scontri tra noi, significa alleanze contro le forze dell’ordine. In una parola? Banda contro banda”, diceva ieri chi ben conosce il codice e la cultura ultras, poche ore prima che a Roma i tifosi sfilassero per strada, che il procuratore di Arezzo definisse il comportamento dell’agente omicida “imperdonabile” e che il gip di Roma confermasse l’accusa di terrorismo per due dei fermati dopo gli scontri di domenica a Roma. “Terrorismo”, ripetevano ieri i tifosi in quella piazza a forma di curva, abituati a essere l’uomo in più, il dodicesimo in campo, e raccolti ora per il loro uomo in meno e per la loro possibile nuova pax. E sia pace davvero.
(15/11/2007)

Burka griffati

Maddie rapita in Portogallo.
Tentato rapimento di 3 bambine in gita scolastica qui a Torino.
Marsciano, donna in cinta di 8 mesi uccisa dal marito.
Donna risponde a annuncio di lavoro e viene seviziata per ore.
...
L’elenco può andare avanti all’infinito.
Ma queste notizie erano sulla prima pagina dei giornali di questi giorni.

3 atti di violenza (di cui uno mortale) fatti nei confronti delle donne.

L’argomento è trito e ritrito, se adesso mi mettessi qua a dire quanto è ingiusto e barbaro farei la scoperta dell’acqua calda, riceverei tanti commenti di consenso e finirebbe qui. Penso non ci siano parole per descrivere un atteggiamento diffuso nella popolazione maschile che va dalla discriminazione sul lavoro agli atti di violenza. Non faccio di tutta l’erba un fascio ovviamente ma il principio è lo stesso. La società, neanche troppo involontariamente, relega la donna alla cura della casa e l’uomo al potere. Nei film il dottore è un uomo e l’infermiera una donna, quando è il contrario la donna è brutta e l’infermiere un gran fico.
A Natale regaliamo ai bambini le automobiline telecomandate superveloci, i videogames di gente che si ammazza e alle bambine le bambole che fanno la popò.
Quando i bambini vanno a scuola i maschi fanno a botte con il consenso dei papà che li incitano dicendo loro di “fare i maschi”.
E nonostante tanta gente illusa creda che adesso “non è più così”, che sono atteggiamenti “d’altri tempi”, in realtà non è cambiato di una virgola.
E’ tutto più subdolo e malato forse.
Un uomo uccide la moglie, la famiglia sa che è un marito violento, sa che quella donna più volte era stata picchiata, e non fa niente?!
Tutta la famiglia deve essere messa in galera, non solo l’uomo. Tutti. Per omertà, perchè per proteggere il “figlioletto”, (e si sa, ogni scarafone è bello a mamma sua) una donna è stata uccisa.

Ci scandalizziamo tanto per il burka, sinceramente dovremmo prima guardarci allo specchio... un cerotto sulla bocca e un foulard (anche griffato) sugli occhi qualcuna ce l’ha anche qui, nel Paese dei benpensanti.

La condizione della donna e del bambino nel terzo mondo


Nei paesi del Terzo Mondo i bambini e le donne sono afflitti da soprusi e discriminazioni.

I dati elaborati dall�ILO attestano che 250 milioni di minori fra i 5 e i 14 anni lavorano, di cui 120 a tempo pieno e 130 a tempo parziale. Questi sono concentrati per lo più in Asia 61%, in Africa per il 32% e in America Latina per 7%.

I dati raccolti in un reportage nel 1998 attestano che nelle piantagioni dello Sri Lanka i bambini muoiono per intossicazione da pesticidi e per malattie come la malaria e il tetano, mentre in Asia (Indonesia e Filippine) è alto il numero dei decessi infantili per le conseguenze delle immersioni per dodici ore continuate in acque fredde perché impiegati nella pesca d�altura.

Altro fenomeno di sfruttamento dell�infanzia riguarda l�impiego dei fanciulli in guerra come mini soldati. E� Saidu, un bambino della Sierra Leone rapito ad 11 anni per essere addestrato ad uccidere, a dare dettagli sulla sua esperienza di soldato bambino, come dice Monika Oettli.

La condizione femminile nell�infanzia, registra per la più forte violazione dei Diritti Umani. Nei paesi dell�area islamica, come lo Yemen, la donna è costretta a vivere segregata in casa, completamente sottomessa al marito e non gode di diritti politici. Il racconto autobiografico di Zana Muhsen "Vendute" offre una lucida e cruda testimonianza.

Risorse, sviluppo e fame nel mondo

1. Quando si parla di "fame" nel mondo, bisogna parlare del Terzo mondo, cioè di quell'area geografica che non fa parte né dell'occidente industrializzato, dove l'economia è capitalistica e di mercato (Primo mondo), né di quell'area del cosiddetto "socialismo reale" (Secondo mondo), dove la produzione è pianificata dallo Stato e dove però in questi ultimi anni tale modello di sviluppo è entrato profondamente in crisi.
2. Come tutti sanno, il Terzo mondo nel 2000 avrà l'80% della popolazione mondiale, che vivrà in condizioni poverissime: già oggi il debito di quest'area coll'estero supera di molto i mille mrd di $. Tanto è vero che si parla anche di Quarto mondo, quell'area cioè che comprenderebbe i paesi più arretrati del Terzo mondo (ad es. Etiopia, Ciad, Tanzania, Bangladesh ecc.). [Terzo mondo è stata una parola inventata da un giornalista francese nel 1952, in analogia col Terzo stato della Rivoluzione francese].
3. Che cos'è la fame? Quand'è che si può parlare di alimentazione insufficiente o di denutrizione? Il fabbisogno alimentare degli esseri umani -come noto- viene espresso in calorie, e varia a seconda dell'età, del peso, del sesso, della salute, del lavoro, del clima, del metabolismo, delle abitudini alimentari. Normalmente, un'alimentazione sufficiente deve garantire almeno 2.000 calorie al giorno.
4. Ebbene, si calcola oggi che nel mondo più di 1 mrd e 300 mil di persone (circa 1/3 della popolazione mondiale) ha un'alimentazione insufficiente. Secondo l'OMS, di questo 30% almeno 500 milioni non dispongono neppure di 1500 calorie al giorno, per cui soffrono di fame assoluta.
5. Per non parlare del problema della sete. Le ultime ricerche fatte nel Terzo mondo indicano che in Africa circa il 75% della popolazione rurale non ha acqua potabile; in Americalatina sono il 77%; in Estremoriente circa il 70%. In valori assoluti, sono più di 600 milioni le persone al mondo prive di acqua potabile.
6. Conseguenze della fame. Un'alimentazione insufficiente porta a: dimagrimento, apatia, debolezza muscolare, depressione del sistema nervoso, minor resistenza alle malattie, invecchiamento precoce, morte per inedia.
7. Queste conseguenze si manifestano soprattutto nei bambini, la cui mortalità nel Terzo mondo è altissima: ventre gonfio, magrezza, avvizzimento della pelle, apatia, ecc. Le malattie parassitarie e infettive colpiscono soprattutto i bambini non solo a causa della denutrizione, ma anche per le precarie condizioni igieniche (acqua inquinata, mancanza di fogne, ecc.). L'UNICEF ha calcolato che la causa principale di morte dei bambini fino a 5 anni è dovuta alla disidratazione conseguente alle diarree provocate da infezioni intestinali.
8. Differenze nei consumi alimentari tra Nord e Sud. Come noto, gli alimenti fondamentali che dovrebbero comparire in tutte le diete, sulla base di percentuali più o meno rigorose sono i seguenti: 70% carboidrati (cereali, frutta, patate, zuccheri ecc.) (1 gr. = 4 calorie); 15% proteine, di cui metà di origine vegetale (legumi, cereali ecc.) e metà di origine animale (carne, latte, uova ecc.) (1 gr = 4 calorie); 15% grassi (olio, burro ecc.) (1 gr = 9 calorie); piccole vitamine e sali minerali presenti nella frutta e verdura, e circa 2,5 litri di acqua. Secondo la FAO, i livelli calorici medi della popolazione italiana sono superiori del 50% rispetto al necessario. Da noi la percentuale di bambini che muore nel primo anno di età è di 1,4%.
9. E' stato dimostrato che il 61% del totale delle calorie di cui dispone in media ciascun abitante del Terzo mondo proviene dal consumo dei cereali (riso, frumento, orzo, segale, miglio...), mentre molto ridotto è il consumo degli altri alimenti (ad es. per la carne è 3,9% mentre nei paesi sviluppati è 13,4%). Nei paesi più sviluppati la percentuale dei cereali consumati raggiunge solo il 30% del totale delle calorie, mentre molto elevata è la quota dei prodotti di origine animale (carne, latte, uova, pesce). Ad es. nel Nordamerica i cereali forniscono solo il 24% delle calorie, mentre in Asia più del 78%.
10. La prevalenza di un solo elemento-base nell'alimentazione (in questo caso i cereali) dà luogo a diete monotone, ripetitive, prive di quella varietà e di quei valori nutritivi che sono necessari per un'alimentazione equilibrata.
11. L'alimentazione dei paesi avanzati. In Occidente il fenomeno alimentare più diffuso è la sovralimentazione. Noi soffriamo di mali fisici tipici del nostro modo di mangiare: disturbi al cuore, appendicite, calcoli, vene varicose, emboli, trombosi, ernia, emorroidi, cancro del colon e del retto, obesità, ecc.
12. Per di più abbiamo l'abitudine a utilizzare alimenti che hanno subìto processi di trasformazione (refrigerazione, cottura, raffinazione, ecc.) invece di alimenti freschi: il che rende la dieta più costosa sul piano economico (ed anche più povera dal punto di vista del suo valore nutritivo).
13. Il problema maggiore però è costituito dal fatto che poco meno della metà dei cereali prodotti sulla terra vengono utilizzati in Occidente per alimentare quel bestiame che viene poi consumato, da noi, sotto forma di carne, uova, latte. Ora, per produrre una sola caloria di origine animale ci vogliono ben 7 calorie di cereali. La conseguenza di questo è ovvia: nei paesi avanzati una persona consuma in media molto più cereali di quanti ne consumi una persona del Terzo mondo: praticamente più di 2,5 kg al giorno (pane-pasta-cereali e soprattutto carne-latte-uova), contro i 500 gr al giorno del Terzo mondo.
14. Se l'enorme quantità di cereali destinati all'alimentazione del bestiame venisse impiegata direttamente nell'alimentazione umana, potrebbero venir nutrite ben 2 mrd e 500 mil di persone. Con la sola quantità di cereali che USA e URSS destinano al bestiame, si potrebbero nutrire 1 mrd di persone.
15. La diseguale distribuzione delle risorse. La fame non è un male inevitabile. Dal 1970 al 1983 la produzione alimentare complessiva (cereali, legumi, tuberi, carne ecc.) è aumentata del 47% (l'aumento medio dei prodotti in quei 14 anni è stato del 3,3% l'anno). L'incremento della popolazione nello stesso periodo è stato, a livello mondiale, dell'1,9% annuo, mentre nel Terzo mondo del 2,5%.
16. Come si può notare, la causa primaria della fame del mondo non sta in una produzione alimentare insufficiente, ma nell'impossibilità per i più poveri di acquistare gli alimenti prodotti. I prezzi dei generi alimentari sono troppo alti per i redditi medi della popolazione del Terzo mondo. Nei paesi avanzati la spesa alimentare rappresenta il 20-25% del reddito familiare, mentre il resto viene speso per vestiario, mezzi di trasporto, alloggio, divertimenti ecc. Nei paesi più poveri invece la spesa alimentare costituisce fino all'80% del reddito familiare. Da noi la povertà raramente comporta fame e denutrizione, nel Terzo mondo invece povertà significa subito fame.

GLI STEREOTIPI SULLA FAME
II

1. Dall'opinione pubblica dei paesi più ricchi la fame del Terzo mondo è considerata come l'effetto perverso di situazioni inevitabili, tipiche dei paesi più poveri (ad es. il clima, l'arretratezza tecnologica, gli alti tassi di natalità, ecc.) Una convinzione di questo genere porta a due atteggiamenti: rassegnazione-indifferenza, oppure, nel migliore dei casi, compassione-elemosina. In nessun caso si mettono in discussione i meccanismi economici e sociali che legano il Sud al Nord del mondo.
2. Posizione geografica sfavorevole? Guardando una qualunque cartina geografica, si ha la netta impressione che il problema della fame e del sottosviluppo si concentri soprattutto nella fascia equatoriale fra i due tropici. Ma se guardiamo le cose più da vicino, ci accorgeremo, ad es., che il Sud degli Usa e l'Australia non soffrono affatto la fame, mentre alcune zone temperate (come il Sud dell'Americalatina) patiscono la fame al pari di certi paesi equatoriali e tropicali. Inoltre la storia ci dice che molte zone oggi sottosviluppate sono state un tempo assai ricche (ad es. l'Egitto, gli imperi inca, maya, azteco, ecc.).
3. Risorse agricole insufficienti? Oggi l'agricoltura del Terzo mondo è di due tipi: a) agricoltura di sussistenza, assai povera perché priva di tecnologia, senza surplus commerciale, in via di estinzione perché il grande latifondo tende a inghiottirla; b) agricoltura di mercato, ma solo in forma di monocoltura (caffè, zucchero, cacao, tè, caucciù, cotone, arachidi ecc.), che raggiunge anche livelli altissimi di produttività, ma non serve alla normale alimentazione quotidiana, anche perché è generalmente destinata all'export verso l'Occidente.
4. Inoltre i profitti della produzione per l'export vanno a vantaggio solo di un esiguo numero di persone o di grosse multinazionali occidentali.
5. Infine i prezzi vengono decisi nelle borse dei paesi più ricchi. Basta dunque una o poche annate agricole negative (per siccità o caduta di prezzi o per lo sviluppo dei surrogati) perché le conseguenze siano subito disastrose.
6. Povertà di risorse minerarie ed energetiche? I paesi del Sud per alcuni minerali (alluminio, stagno, cobalto, ecc.) dispongono del 50-60% delle risorse mondiali. I paesi dell'OPEC sono i massimi produttori di petrolio del mondo. I fatti inoltre dimostrano che, per sopravvivere, il Terzo mondo deve soprattutto esportare materie prime (non solo quelle che in occidente mancano o sono carenti, ma anche quelle che, pur non mancando in occidente, risultano, rispetto a quelle occidentali, meno costose). Inoltre non dimentichiamo che è soprattutto l'occidente a disporre della necessaria industria di trasformazione delle materie prime.
7. C'è carenza di industrie? Senz'altro. Ma in questi ultimi anni l'incidenza della produzione industriale sul PNL ha raggiunto delle percentuali elevatissime (ad es. dal '70 all'81 per il Brasile era del 18,8%, mentre per gli Usa del 2,4%; per il Messico del 17,8%, mentre per il Giappone del 2,2%; per la Corea del sud del 15,6%, mentre per l'Italia dell'1,9%). Eppure questo non ha affatto comportato nei paesi più avanzati del Terzo mondo la fine della miseria; al contrario: se la ricchezza dei ricchi è aumentata è aumentata anche la povertà dei molti.
8. Il tasso demografico è troppo alto? I tassi di produttività mondiale, in questi ultimi 15-20 anni, sono sempre stati superiori a quelli di natalità mondiale. Il problema sta piuttosto nella cattiva distribuzione delle risorse. E' comunque vero che nel Sud la popolazione aumenta più in fretta della produzione, ma è sbagliato considerare l'alta natalità come una causa della fame e non come un effetto. In Occidente, con lo sviluppo della produzione, si è avuta una graduale diminuzione della popolazione. Le famiglie non hanno più bisogno del lavoro dei figli: li mandano a scuola e questo comporta notevoli spese.

LE RISPOSTE ALLA FAME
III

I. Risposta occidentale


• Teoria dello sgocciolamento: concentrare gli aiuti allo sviluppo industriale:
• agricoltura e servizi ne beneficiano di conseguenza, in modo automatico.
• Verifica di questa teoria: Europa nel dopoguerra, Piano Marshall.
• L'esperimento in Europa è riuscito. Anche in Giappone.
• La stessa teoria applicata al Terzo mondo è risultata fallimentare. Perché?


1. Settore più importante-tradizionale è quello agricolo. La stessa cultura-psicologia-mentalità è agricola, cioè non portata alla ricerca del profitto con rischio, all'investimento, ecc.
2. Settore industriale era privo di professionalità-competenza. Il settore industriale che qui si è sviluppato è stato quello occidentale (ad es. multinazionali, che non possono avere, nell'ambito della nazione che le ospita, interessi di carattere generale), oppure quello di pochi capitalisti locali, che hanno pensato solo ad arricchirsi il più possibile.
• Conseguenze:
1. Ricchezza notevole di pochi (locali e no)
2. Povertà notevole di molti (nell'agricoltura)
3. Colossale indebitamento degli Stati (i crediti sono stati necessari per avviare l'industrializzazione)
4. Sviluppo tutto basato sull'export di materie prima e di prodotti che acquista l'Occidente. Grazie all'export il Terzo mondo può ottenere il denaro per estinguere il debito. Ma ciò di fatto non avviene (i debiti sono troppo ingenti, i tassi d'interesse troppo alti per le loro risorse). Non solo, ma aumenta la fame proprio in proporzione all'aumentare dell'export, che è tutto monocolturale.

II. Risposta del blocco comunista

(posizione oggi inesistente)
• Il Terzo mondo non deve commerciare con l'Occidente
• Deve rifiutare le multinazionali
• Deve nazionalizzare tutte le proprie risorse
• Deve considerare l'Urss un partner privilegiato.
• Conseguenze:
1. Inefficienza dell'apparato produttivo di quei Paesi che hanno adottato questa strategia (Angola, Mozambico ecc.):
2. sia perché tutto nazionalizzato: senza iniziativa privata non funziona nulla (burocrazie, mancanza di incentivi, ecc.),
3. sia perché il Terzo mondo è soggetto all'Occidente da troppi secoli perché se ne possa liberare in poco tempo (ad es. molte sue colture sono state imposte dalla madrepatria: cambiarle non è facile),
4. sia perché gli stessi paesi comunisti (a causa dei loro problemi economici interni) non erano in grado di aiutare in modo decisivo quei paesi del Terzo mondo che hanno imboccato la strada del socialismo: Cuba, Etiopia, Angola, Mozambico, Vietnam, ecc.

III. Risposta del Terzo mondo


A. Teoria dello sviluppo autodeterminato (basarsi sulle proprie forze):
1. rivalutare le proprie materie prime alzandone il prezzo (ad es. il petrolio nel '73);
2. contare di più all'ONU, dove il Terzo mondo è maggioritario (ma il Consiglio di sicurezza resta l'organo principale).
B. Teoria dello sviluppo interdipendente (aiuto reciproco):
1. il Nord ha bisogno delle materie prime del Sud, ma il Sud ha bisogno della tecnologia del Nord,
2. creare un rapporto paritetico, tra eguali. Oggi 1/4 della popolazione mondiale (Nord) consuma i 3/4 della ricchezza mondiale. Ogni anno almeno 25 mrd $ vengono pagati per gli interessi sui debiti. Inoltre i prezzi, decisi nelle Borse-valori delle città occidentali più importanti, sono di molto inferiori al valore delle materie prime del Terzo mondo.


• Altre risposte che entrambe le teorie (A e B) prevedono:
1. crediti a tassi agevolati, posti sotto controllo,
2. sviluppo di una propria industria di trasformazione dei prodotti agricoli,
3. trattamento preferenziale all'export del Terzo mondo,
4. promuovere l'autosufficienza alimentare,
5. favorire anzitutto agricoltura, allevamento, pesca e artigianato, ma introdurre lentamente, progressivamente un processo verso l'industrializzazione,
6. opere di prevenzione e risanamento dal deserto, deforestazione, siccità...,
7. consapevolezza che nemmeno la cancellazione totale del debito risolverebbe di per sé il problema del sottosviluppo.

IV. Reazione dell'Occidente alle soluzioni proposte dal Terzo Mondo.


1. Estinzione parziale di certi crediti
2. Riduzione della propria dipendenza dal petrolio
3. Aiuti meramente alimentari
4. Cibo e debito come armi di ricatto e di controllo politico
5. Introduzione di surrogati che sostituiscono certe materie prime (p.es. cioccolato, zucchero…)
6. Non imporre al Terzo mondo obblighi di tutela ambientale
7. Chiedere governi forti per controllare lo scontento popolare
8. Continuare a considerarsi "creditore" e a considerare il Sud come "debitore".

Immanuel Kant


importanza di Kant

Si possono sintetizzare due grandi possibilità: c'è chi lo ritiene pensatore della massima importanza, vero crocevia del pensiero occidentale, imprescindibile pietra miliare della storia della filosofia, che si dividerebbe addirittura in un "prima" e "dopo" Kant; si tratta di coloro che vogliono negare la possibilità, per la conoscenza umana, di essere aperta alla realtà, di cogliere le cose stesse (le cose-in-sé); si tratta cioè del pensiero, egemone nella cultura occidentale nel XIX e XX secolo, antimetafisico, ivi includendo anche idealismo e neoidealismo, che concordano nel negare la conformità dell'intelligenza a un dato, che la precede e la giudica. Non per nulla Hegel stima Kant come un punto di passaggio essenziale del cammino della filosofia.

C'è però chi relativizza l'importanza di Kant, e mette in discussione il diktat storicistico dell'inesorabile superamento della metafisica. Kant, in questa prospettiva, è sì un pensatore importante, ma più come testimonianza, o meglio sintomo, di una voluta e tutt'altro che inevitabile curvatura del pensiero occidentale in senso antimetafisico, una curvatura che, lungi dall'essere dettata dallo sviluppo del sapere scientifico, sarebbe funzionale a un progetto, che in sintesi possiamo chiamare di indipendenza dall'oggettivo. Noi, al seguito di molto pensiero cattolico contemporaneo, riteniamo più vera questa seconda posizione.
opere
Metaphysische Anfangsgründe der Naturwissenscaft Principi metafisici della scienza della natura
Pensieri sulla vera natura delle forze vive 1747
Principiorum primorum cognitionis metaphysicae nova dilucidatio 1755
Monadologia physica Monadologia fisica 1756
L’unco argomento possibile per una dimostrazione dell’esistenza di Dio 1763
I sogni di un visionario spiegati coi sogni della metafisica 1766
Dissertatio de mundi sensibilis atque intelligibilis forma et principiis 1770
Kritik der reinen Vernuft Critica della Ragion Pura 1787
Kritik der praktischen Vernuft Critica della Ragion Pratica 1788
Kritik der Urteilskraft Critica del Giudizio 1790
Die Religion innerhalb der Grenzen der blossen Vernuft La religione entro i limiti della semplice ragione 1793
Per la pace perpetua 1795
La metafisica dei costumi 1797
La ragione in Kant

L'importanza di Kant sta nell'essere stato capace di riprendere e portare a sintesi il processo di vaglio dei limiti e delle possibilità della conoscenza umana, avviato nella filosofia moderna già da Cartesio, ma in qualche modo operante fin dalla dissoluzione della Scolastica (pensiamo a Ockham, che già mette in discussione la possibilità di una metafisica).

Tale processo si era, stando alla ricostruzione fatta dallo stesso Kant, biforcato in due grandi correnti, l'empirismo (fiorito in particolare in Inghilterra) e il razionalismo: alla prima appartengono Locke, Hume (e in qualche modo anche Berkeley), alla seconda Cartesio, Spinoza, Leibniz, per citare solo i maggiori. In tale processo viene messa in dubbio quella che per la filosofia antica e medioevale era una certezza immediata, che cioè la ragione sia apertura all'essere, pensi la realtà stessa, e che perciò sia possibile la metafisica, che è discorso sull'essere, sulla realtà nelle sue leggi più fondamentali. Viene messa in dubbio quella convinzione e al suo posto subentra il dubbio su ciò che davvero la ragione conosca: si conoscono le cose stesse, la realtà stessa? E si possono raggiungere delle verità universali (valide cioè sempre e dovunque)?
1a) La filosofia moderna: una parabola con molti presupposti convergenti

Su alcuni punti razionalismo ed empirismo moderni convergevano.
il dualismo

1) Convergevano nel ritenere ad esempio che ciò che si conosce non sono immediatamente le cose stesse, ma le nostre rappresentazioni soggettive delle cose, cioè le idee. Questo punto è noto come dualismo gnoseologico, dove la dualità è tra idee, che sono l'oggetto immediato della conoscenza e cose, che sono l'oggetto ultimo della conoscenza, ciò a cui insomma rimandano e si riferiscono le idee. D'accordo su questo troviamo sia Cartesio (che pone proprio per tale dualismo il problema di come si possa essere certi che alle idee corrispondano le relative cose, escogitando l'esistenza di Dio come soluzione a tale problema), sia Spinoza (che risolve il problema ponendo un parallelismo tra idee e cose, emanazioni dell'identica Sostanza), sia Locke e Hume (la conoscenza umana non raggiunge se non le proprie impressioni e idee).
la pretesa razionalista

2) Convergenza troviamo anche nel ritenere che sia accettabile come vero solo ciò che è pienamente comprensibile, solo ciò che è filtrabile dai criteri di una ragione che si pone come misura di tutto.

Vediamo da questi due punti come sia il razionalismo sia l'empirismo siano espressioni di una mentalità antropocentrica: il soggetto umano è al centro, la sua ragione è 1) orizzonte intrascendibile e 2) criterio insuperabile.
1b) la biforcazione della filosofia moderna

Ma razionalismo ed empirismo divergevano sul rapporto tra sensi e pensiero: mentre per il razionalismo la conoscenza può giungere a verità universali (nel senso già chiarito), e lo può grazie al fatto che esse sono in qualche modo già presenti nel pensiero (innatismo), per l'empirismo la conoscenza, non avendo in sé alcun contenuto innato (la mente è originariamente tabula rasa), non può mai giungere a un livello universale, ma ha come unico contenuto il dato sensibile particolare. Anche qui però c'è un presupposto comune: che sia impossibile quella che Tommaso d'Aquino chiamava astrazione, cioè il cogliere l'universale dentro il particolare, l'intelligibile dentro il sensibile (esistenzialmente= il poter dare un giudizio sull'esperienza che nasca dall'esperienza stessa, ma sia stabilmente certo). E infatti l'intelligibile, l'universale, o c'è già dentro di noi (come per il razionalismo innatista), oppure non lo potremo raggiungere mai (come per l'empirismo).

In questo modo il pensiero moderno (considerato da Kant) si divarica tra due estremi: un razionalismo, che ha il pregio di riconoscere la conoscenza di verità universali, e dunque di certezze stabili, ma il limite di fondarle su una interiorità chiusa e autosufficiente, non alimentata dall'oggettività; e un empirismo che riconosce sì il debito della conoscenza verso il mondo "esterno", ponendosi in atteggiamento di attenzione al nuovo, ma si preclude la possibilità di dare un vero giudizio sull'esperienza, che alla fine si sgretola in uno sciame disarticolato di particolari.
2a) Kant, compimento della parabola moderna:
la "rivoluzione copernicana"

Abbiamo detto sopra che sia il razionalismo sia l'empirismo sono stati espressione di una mentalità antropocentrica, per la quale il soggetto umano è al centro. Ma almeno entrambe le impostazioni salvavano ancora un residuo di realismo, nel pensare che le idee, per quanto concepite come il primo e immediato oggetto della conoscenza umana, siano comunque l'esatto calco, l'esatto rispecchiamento delle cose, che esistono oggettivamente, indipendentemente dal soggetto. In qualche modo quindi per tali impostazioni restava pur sempre valida l'antica definizione di verità come "adaequatio mentis ad rem": è la mente umana che deve adeguarsi, conformarsi alla cosa; si conosce la verità quando si pensa ciò che esiste, quando nel pensiero (nel soggetto) si forma una identità con realtà (oggettiva).

Kant invece si spinge oltre, in direzione di un più radicale antropocentrismo, e ritiene che non sia la conoscenza del soggetto a doversi conformare alla realtà, ma siano piuttosto gli oggetti a doversi conformare alle leggi del soggetto. È quella che lo stesso filosofo prussiano chiamava, con orgoglio, la rivoluzione copernicana con cui, analogamente a come Copernico aveva radicalmente riformulato i termini del problema astronomico, egli pensava di aver radicalmente (e definitivamente) reimpostato il problema gnoseologico: non il soggetto ruota attorno all'oggetto, ma al contrario l'oggetto ruota attorno al soggetto, si piega docilmente alle sue leggi e alle sue strutture conoscitive.
diverse possibili interpretazioni

Di tale rivoluzione copernicana si possono dare diverse interpretazioni. Si può vederla come accettazione del limite della conoscenza umana, che filtrando inevitabilmente gli oggetti attraverso le proprie strutture risulta incapace di cogliere la realtà in sé, ossia la verità assoluta (=sciolta da, non relativa ai condizionamenti limitanti del soggetto); in questo senso Kant sarebbe il filosofo della finitezza, l'ultimo dei moderni; così egli viene per lo più interpretato da parte di filosofi "del limite", come gli esistenzialisti (in Italia ad esempio Abbagnano ha sostenuto questa linea). Ovvero si può considerare la "rivoluzione copernicana" come espressione del potere, in qualche modo creativo, del soggetto e della ragione: ciò che importa in quest'altra prospettiva non è il fatto che le cose-in-sè restino sempre al-di-là, importa piuttosto che il fenomeno conosciuto sia essenzialmente determinato, plasmato dal soggetto; il soggetto pertanto non ha più un ruolo passivo, non si limita a registrare un dato, ma attivamente forgia questo dato, conferendogli le sue forme a-priori. La parte del leone insomma non la fa la cosa-in-sè, che si limita a fornire al fenomeno una informe e malleabile materia, ma il soggetto conoscente, che organizza e struttura tale materia dentro le proprie forme (le "intuizioni pure" e le "categorie"). In questo senso Kant sarebbe il filosofo non già della finitezza e del limite, ma della (tendenziale) infinitezza, del potere creativo del soggetto, e dunque non l'ultimo dei moderni, ma il primo dei contemporanei, in quanto antesignano dell'idealismo.

È chiaro che se fosse vera la prima linea interpretativa la filosofia di Kant sarebbe meno inaccettabile dal punto di vista del realismo, potendosi considerare come sofferta e dolorosa rassegnazione all'impossibilità di accedere a un assoluto di verità, di cui pure egli riconosce una inestirpabile nostalgia; mentre se fosse vera la seconda non si potrebbe che bollare l'impresa kantiana quale espressione di un superbo e prometeico antropocentrismo, dimentico della concretezza del dramma umano. In realtà convivono in Kant, non senza contraddizione, entrambi questi aspetti: una residua onestà nel riconoscere che il desiderio che anima la ragione è conoscere la realtà in sé, la verità assoluta, che è oltre il fenomeno scientificamente indagabile; ma anche la preconcetta e trionfante esultanza di aver "liberato" l'umanità dal giogo di una sottomissione all'oggettivo (e qui la dice lunga la sua posizione, di saccente disprezzo, nei confronti della Chiesa e di Cristo). Il fatto è che a Kant sfuggiva come fosse contraddittorio aspirare alla verità (assoluta) senza piegarsi alla Verità (del Mistero): un assoluto senza l'Assoluto, tale sembra essere il segreto (e paradossale) voto dell'asceta laico di Königsberg.
2b) e (preteso) punto di convergenza della biforcazione

Kant, valendosi della sua "rivoluzione copernicana", pretende di fornire la soluzione sintetica alla diatriba sopra vista tra razionalisti ed empiristi, assimilando elementi da entrambi. Ma vedremo come tale sintesi sia insoddisfacente.

Prima però dobbiamo osservare che è comunque riduttivo esaurire la parabola della filosofia moderna in una dialettica tra razionalismo ed empirismo; la storia della filosofia moderna è stata ben più ricca e complessa, ed è attraversata da altre contrapposizioni: ad esempio quella tra una modernità laica e quella tra una modernità cristiana; ma non a caso Kant ignora tale complessità: lo schema che da sapiente regista propone, mettendo in scena solo quei due attori (razionalismo ed empirismo), è funzionale alla sua risolutrice comparsa finale, da deus ex machina che finalmente svela ogni enigma.

Perché comunque Kant può presentarsi come sintesi di razionalismo ed empirismo? Lui stesso lo spiega, introducendo il concetto di giudizi sintetici a-priori: tali giudizi presentano il vantaggio di assicurare alla conoscenza un livello di universalità, quale era fin allora prerogativa del razionalismo, senza restare però vittima di quello che del razionalismo era il difetto, ossia la chiusura del pensiero in sé stesso. I giudizi sintetici a-priori infatti godono tanto della universalità loro assicurata dalla componente della forma a-priori, quanto della fecondità, cioè della possibilità di arricchimento di nuovi contenuti, che deriva loro in forza dell'apporto dell'esperienza (dato il loro carattere sintetico). Il valore dell'esperienza, caro all'empirismo, viene così recepito nel carattere di sinteticità di tali giudizi, ma viene recepito anche il valore della razionalità universalizzatrice, caro al razionalismo, nel loro carattere di a-priorità. L'esperienza, così, non può fare a meno del concetto, della ragione, e il concetto a sua volta non può fare a meno dell'esperienza: "i concetti senza intuizioni sono vuoti", contro il razionalismo (vacuità tautologica dei giudizi analitici a-priori), ma al contempo "le intuizioni senza concetti sono cieche" (frammentata dispersività dei giudizi sintetici a-posteriori).

Dobbiamo però chiederci se davvero tale sintesi sia soddisfacente. La risposta è negativa, poiché da una parte l'universalità garantita dalla componente a-priori è una universalità per così dire a) forzosa, e b) circoscritta al fenomeno, inteso come lo intende Kant; d'altra parte l'esperienza che viene inglobata nei giudizi sintetici a-priori non è realmente l'esperienza nel suo darsi integrale di effettiva novità e imprevedibilità. Spieghiamo che cosa vogliamo dire: universalità "forzosa", tale cioè perché imposta dal soggetto; essa non scaturisce dalla cosa conosciuta, ma è il soggetto che impone all'oggetto conosciuto il suo "stampino"; resta perciò il dubbio che tale universalità non sia vera, ma sia semplicemente un abito con cui la mente umana riveste gli oggetti; "circoscritta al fenomenico", perché per Kant i giudizi legittimi riguardano solo il fenomeno, e questo termine non solo non designa la realtà creata, finita (in quanto distinta da Dio, e già sarebbe una limitazione, poiché l'essere si estende all'Infinito, che anzi, solo, propriamente, è), ma non designa nemmeno la realtà del mondo corporeo (esso stesso è un noumeno, per Kant), limitandosi piuttosto al livello di ciò che è scientificamente conoscibile. Allora si vede che l'universalità dei giudizi è funzionale esclusivamente alla scienza, non c'entra nulla con la sapienza, non serve cioè a dare un giudizio sul significato della realtà. Il che è una lacuna non da poco. Perché ne viene l'impossibilità della metafisica, il non poter dire nulla sul senso dell'esistenza.

Infine: l'esperienza di cui parla Kant è una falsa esperienza, una esperienza in cui non può accadere niente di realmente nuovo. Infatti è un'esperienza ingabbiata nell'a-priori, per il motivo detto prima: l'universalità, esistenzialmente il giudizio, non è tratto dall'esperienza, ma a questa viene imposto.
3) la ragione e il Mistero

Gli esiti sono noti: per Kant da un lato la ragione niente può dire di certo sull'esistenza del Mistero (dal punto di vista dell'ontologia), d'altro lato (dal punto di vista dell'etica) essa detta legge al Mistero, pretende di incapsularlo "nei limiti della pura ragione". Tra tali due tesi c'è uno stretto legame: è proprio la "libertà" di cui gode il soggetto razionale di fronte al Mistero (libertà derivantegli dalla sua impossibilità di riconoscerne con certezza l'esistenza, vedi negazione della metafisica: "Non conosco quell'Uomo") che lo rende poi spavaldo e spregiudicato nell'imporre i suoi dettami a quel Mistero che è ormai sua benevola e magnanima concessione. Per questo Kant può dar luogo a una vera e propria strumentalizzazione di Dio a fini etici (occorre che Dio esista, perché l'etica sia fondata: l'ontologico al servizio dell'etico), e per questo può rinserrare la religione "nei limiti della pura ragione", escludendo qualsiasi possibile iniziativa di automanifestazione del Mistero, ridotto, illuministicamente del resto, a fredda entità. Una entità, di cui non si può fare a meno (sennò come faremmo ad avere una ricompensa eterna per la virtù?), ma che va il più possibile messa in riga e tenuta a debita distanza (mai si vedrà il Suo Volto: l'occupazione delle anime, nella vita futura, sarà quella di perfezionare la propria virtù, in un eterno e mai compiuto lavorio).
per un giudizio
per un giudizio

Il giudizio complessivo su Kant è dunque negativo:

* se è vero che, a differenza di Hegel, riconosce l'esistenza di una oggettività, altra dal soggetto e dal suo pensiero, è anche vero che questa oggettività si trova relegata a una sorta di docile cagnolino, che non può disturbare il padrone-soggetto; il noumeno infatti, relegato in una inaccessibile lontananza, si limita a fornire malleabile "materia" conoscitiva a un soggetto che è il vero artefice e demiurgo della conoscenza.
* E se è vero che a differenza di Hegel, Kant sembra ammettere l'esistenza di un Dio trascendente, è altrettanto vero che gli pone dei limiti tali da renderlo una sorta di entità inerte, quasi un distributore automatico di premi eterni, sottomesso a leggi interamente comprensibili alla razionalità umana. E' un Dio senza volto, non è certo il Mistero buono che crea tutte le cose e ama di un amore personale le sue creature umane. E infatti Kant non aspetta niente di nuovo da Dio: sa già tutto. Ha già deciso che Dio non possa parlargli, non possa rivelarsi a lui: ad esempio è graniticamente sicuro che il Cristianesimo, come "religione rivelata" sia falso, perché Dio non può rivelarsi, mummificato com'è in un impietrito silenzio.
* E in campo etico, è vero che a differenza di Hegel egli ritiene che l'individuo umano possa cogliere un dovere morale che lo possa far resistere ai condizionamenti delle mode sociali, ma si rivela disumano nel pensare che si possa obbedire a una legge morale per un dovere autofondantesi, privo dal riferimento a qualsiasi tu, umano e divino: mentre la radice della moralità è la gratitudine, e Dio sostiene la nostra debolezza dandosi il sostegno di una compagnia viva (e questo Hegel lo aveva un po' intravisto, perché l'eticità per lui è resa possibile solo da un contesto relazionale, anche se poi questo contesto lo identifica in ultima analisi nello Stato, commettendo così un grave errore), senza cui osservare precetti morali sarebbe di fatto inacidita testardaggine e disumano fariseismo.

testi
testi
LA RIVOLUZIONE COPERNICANA IN FILOSOFIA

Finora si è creduto che ogni nostra conoscenza debba regolarsi sugli oggetti; ma tutti i tentativi, condotti a partire da questo presupposto, di stabilire, tramite concetti, qualcosa a priori intorno agli oggetti, onde allargare in tal modo la nostra conoscenza, sono andati a vuoto.

È venuto il momento di tentare una buona volta, nel campo della metafisica, il cammino inverso, muovendo dall'ipotesi che siano gli oggetti a dover regolarsi sulla nostra conoscenza; ciò si accorda meglio con la auspicata possibilità di una conoscenza a priori degli oggetti, la quale affermi qualcosa nei loro riguardi prima che ci vengano dati.

Qui le cose stanno né più ne meno come con i primi pensieri di Copernico; il quale, incontrando difficoltà insormontabili nello spiegare i movimenti celesti a partire dall'ipotesi che l'insieme ordinato degli astri ruotasse intorno allo spettatore, si propose di indagare se le cose non procedessero meglio facendo star fermi gli astri e ruotare lo spettatore intorno a loro. Nella metafisica un tentativo del genere può essere messo in atto per quanto riguarda l'intuizione degli oggetti. Se l'intuizione si deve regolare sulla costituzione degli oggetti, non vedo come sia possibile saperne qualcosa a priori; se invece è l'oggetto (in quanto oggetto sensibile) a doversi conformare alla natura della nostra facoltà intuitiva, posso immaginare benissimo questa possibilità. Poiché non posso arrestarmi ad intuizioni di questo genere, se debbono divenire conoscenze, ma debbo riferirle come rappresentazioni ad alcunché quale oggetto, da determinarsi tramite loro, non mi resta che o ritenere che i concetti, mediante i quali attuo questa determinazione, si regolino come tali sull'oggetto - nel qual caso ricado nella stessa difficoltà, circa il modo in cui mi sia dato conoscere alcunché a priori - oppure, all'opposto, ritenere che gli oggetti, o anche, il che fa lo stesso, l'esperienza nella quale soltanto possono venire conosciuti (in quanto oggetti dati), si regolino su questi concetti. In questo caso mi pare che la via d'uscita sia più facile, poiché l'esperienza è come tale una sorta di conoscenza tale da richiedere l'intelletto, la cui regola debbo presupporre in me, ancor prima che mi siano dati gli oggetti, e cioè a priori; e questa regola si concreta in concetti a priori, rispetto ai quali tutti gli oggetti dell'esperienza debbono regolarsi, e coi quali debbono accordarsi. (Critica della ragion pura, Prefazione, II Edizione).
SPAZIO E TEMPO COSA SONO?

Che sono dunque spazio e tempo? Sono forse entità reali? O sono semplicemente determinazioni, o anche rapporti, delle cose, tali comunque da appartenere anche alle cose in sé, quand'anche non fossero intuite? Oppure sono tali da appartenere soltanto alla forma dell'intuizione, e quindi alla costituzione soggettiva nostro animo, senza di che questi predicati non potrebbero venir attribuiti a cosa alcuna? [...].

Tempo e spazio sono due sorgenti conoscitive, a cui è possibile attingere a priori svariate conoscenze sintetiche, delle quali ci offre un esempio luminoso la matematica pura, per quanto concerne la conoscenza dello spazio e dei suoi rapporti. Posti assieme, essi sono forme pure di tutte le intuizioni sensibili, e in questa veste rendono possibili proposizioni sintetiche a priori. Ma queste sorgenti conoscitive a priori, non essendo altro che condizioni della sensibilità, si determinano per ciò stesso i loro limiti, consistenti nel riferirsi agli oggetti solo in quanto vengano considerati come fenomeni, senza pretendere di esibire cose in sé. Il campo della loro validità è circoscritto ai fenomeni, uscendo dai quali non è più dato alcun uso oggettivo di queste sorgenti conoscitive.

Questa realtà dello spazio e del tempo nulla toglie del resto alla sicurezza della conoscenza sperimentale, poiché la certezza che ne abbiamo non muta se queste forme ineriscono alle cose in sé oppure solo alla nostra intuizione delle cose, purché in modo necessario. Quanti invece sostengono la realtà assoluta dello spazio e del tempo, la considerino sussistente o solo inerente, non possono fare a meno di entrare in conflitto. con i principi dell'esperienza. (Critica della Ragion Pura, Estetica, § 7)
PENSIERO ED ESPERIENZA
i due fattori dell'esperienza

Non c'è dubbio alcuno che ogni nostra conoscenza incomincia con l'esperienza; da che mai infatti la nostra facoltà di conoscere sarebbe altrimenti messa in moto se non da parte di oggetti che colpiscono i nostri sensi, e da un lato determinano le rappresentazioni, mentre dall'altro mettono in moto cattività del nostro intelletto a raffrontare queste rappresentazioni, a unirle o a separarle, e ad elaborare in tal modo la materia prima delle impressioni sensibili, in vista di quella conoscenza degli oggetti che si chiama esperienza? Quanto al tempo, pertanto, nessuna conoscenza precede in noi l'esperienza, e tutte incominciano con lei.

Ma benché ogni nostra conoscenza incominci con l'esperienza, da ciò non segue che essa derivi interamente dall'esperienza. Potrebbe infatti avvenire che la nostra stessa conoscenza empirica fosse un composto di ciò che riceviamo mediante le impressioni e di ciò che la nostra facoltà conoscitiva vi aggiunge da sé sola (semplicemente stimolata dalle impressioni sensibili); aggiunta, questa, che non distinguiamo da quella materia primitiva, fintantoché un lungo esercizio non ce ne abbia resi consapevoli, poiiendoci in grado di separare i due fattori.

Vi è dunque almeno una questione bisognosa di un ulteriore esame, e di cui non è possibile sbrigarsi a prima vista, e cioè se esista una simile conoscenza, indipendente dall'esperienza ed anche da ogni impressione sensibile. Tali conoscenze sono detlte a priori e sono distinte dalle empiriche, che hanno la loro sorgente a posteriori, ossia nell'esperienza. (Ibidem, Introduzione, I).
universalità e necessità sono i contrassegni delle conoscenze pure a priori

Ciò che ora ci occorre è un segno distintivo per separare con sicurezza una conoscenza pura da una empirica. Certamente l'esperienza ci insegna il modo in cui una cosa è fatta, ma non ci dice che non può essere fatta diversamente. In primo luogo , dunque, se una proposizione viene pensata assieme alla sua necessità , è un giudizio a priori; se per di più deriva esclusivamente da un'altra proposizione che abbia a sua volta valore di proposizione necessaria, la proposizione è assolutamente a priori. In secondo luogo, l'esperienza non conferisce mai ai suoi giudizi una universalità autentica e rigorosa, ma semplicemente una universalità presunta e comparativa (per induzione), sì che si deve propriamente dire: stando a quanto abbiamo finora osservato, non risulta alcuna eccezione a questa o a quella regola. Quando dunque un giudizio venga pensato con rigorosa universalità, cioè in modo tale da non tollerare eccezione di alcun genere, esso non deriva dall'esperienza, ma è valido assolutamente a priori.(Ibidem, Introduzione, Il).
la conoscenza umana richiede l'esistenza di giudizi e di concetti a priori

Orbene, è facile dimostrare che nella conoscenza umana si danno effettivamente simili giudizi, necessari e universali nel senso più rigoroso, e quindi puri a priori. Se si vuole un esempio ricavato dalle scienze, non si deve far altro che prendere in esame tutte le proposizioni della matematica; se si vogliono esempi ricavati dal più comune uso dell'intelletto, può bastare la proposizione che ogni mutamento deve avere una causa; in quest'ultima proposizione, anzi, il concetto stesso di una causa contiene cosi palesemente il concetto di una necessità della connessione con un effetto e di una rigorosa universalità della legge, che esso andrebbe del tutto perduto se si pretendesse ricavarlo, come fece Hume, dal ripetuto associamento di ciò che accade con ciò che precede, e dalla conseguente abitudine (e perciò da una necessità semplicemente soggettiva) di connettere talune rappresentazioni. Anche senza far ricorso a simili esempi per stabilire la effettiva sussistenza di princìpi a priori della nostra conoscenza, si potrebbe dimostrare che essi sono indispensabili per la stessa possibilità della nostra esperienza, dandone così una prova a priori. Donde mai, infatti, l'esperienza trarrebbe la sua certezza se le regole secondo cui essa procede fossero in ogni caso empiriche e quindi contingenti? Come potrebbero in questo caso fungere da princìpi? Ma qui possiamo accontentarci di aver esposto come un fatto l'uso puro della nostra facoltà di conoscere, assieme ai segni che lo contraddistinguono. Non solo però nei giudizi, ma anche nei concetti si rivela l'origine a priori di taluni di essi. Se infatti togliete a poco a poco dal concetto di un corpo, fornitovi dall'esperienza, tutto ciò che vi è di empirico, ossia il colore, la durezza, la mollezza, il peso e la stessa impenetrabilità, rimane pur sempre lo spazio che il corpo occupava (e che si è ora del tutto dileguato), spazio che non può venir soppresso. Egualmente, se sottraete al vostro concetto empirico di un qualsiasi oggetto, corporeo o non corporeo, tutte le proprietà insegnatevi dall'esperienza, non vi è tuttavia possibile sottrargli quella mediante cui lo pensate come sostanza o come inerente ad una sostanza (benché questo concetto possegga una determinazione maggiore di quello di oggetto in generale). Guidati dalla necessità con cui questo concetto vi si impone, non potete non riconoscere che esso ha la sua sede nella vostra facoltà di conoscere a priori.(Ibidem, Introduzione, II).
recettività delle impressioni sensibili e attività del pensiero

La nostra conoscenza trae origine da due sorgenti fondamentali dell'animo, di cui la prima consiste nel ricevere le rappresentazioni (la recettività delle impressioni), e la seconda è la facoltà di conoscere un oggetto tramite queste rappresentazioni (spontaneità dei concetti). Per mezzo della prima un oggetto ci è dato, per mezzo della seconda esso viene pensato in rapporto a quella rappresentazione (come semplice determinazione detanimo). Intuizione e concetti costituiscono pertanto gli elementi di ogni nostra conoscenza: per modo che non ci può venir data la conoscenza né dai concetti senza una intuizione che loro corrisponda in qualche modo, né dall'intuizione senza concetti.(Ibidem, Logica, Introduzione, I).
I pensieri senza contenuto sono vuoti, le intuizioni senza concetti sono cieche.

Se vogliamo chiamare sensibilità la recettività del nostro animo nel ricevere rappresentazioni, in quanto viene in qualche modo modificato, daremo invece il nome di intelletto alla capacità di produrre spontaneamente rappresentazioni, ossia alla spontaneità della conoscenza. La nostra natura è tale che l'intuizione non può mai essere che sensibile, ossia tale da non contenere che il modo in cui veniamo modificati dagli oggetti. Per contro, la facoltà di pensare l'oggetto dell'intuizione sensibile è l'intelletto. Nessuna di queste due facoltà è da anteporsi all'altra. Senza sensibilità nessun oggetto ci verrebbe dato, e senza intelletto nessun oggetto verrebbe pensato.

I pensieri senza contenuto sono vuoti, le intuizioni senza concetti sono cieche. È quindi egualmente necessario rendere sensibili i propri concetti (ossia aggiungere loro l'oggetto neIl'intuizione), e rendersi intelligibili le proprie intuizioni (ossia sottoporre a concetti). Queste due facoltà, o capacità, non possono scambiarsi le loro funzioni. l'intelletto non può intuire nulla, ed i sensi nulla pensare. Solo dalla loro unione può scaturire la conoscenza.(Ibidem, Logica, Introduzione, I).

Fascismo: caratteri generali.

Il fascismo e Mussolini

A differenza del comunismo, che è stata la applicazione politica di una idea filosofica, quella di Marx, il fascismo non è stato preceduto da alcuna filosofia ispiratrice, ma si configura essenzialmente come opera di un uomo d'azione, Benito Mussolini. Dire fascismo è dire Mussolini. Ci fu, è vero, un filosofo che abbracciò le idee fasciste, Giovanni Gentile, la cui filosofia è stata definita non a torto come quella del fascismo, ma ciò che viene prima di tutto è l'opera, l'azione di Mussolini, quella di Gentile non fu che una teorizzazione successiva.


cause del fascismo

Vi sono state molteplici cause dell'avvento del fascismo in Italia:

* una causa remota è la volontà di rivincita di un Paese rimasto per secoli diviso, debole e soggetto alla dominazione straniera, e nemmeno dopo l'indipendenza pienamente ristabilito (alcuni gruppi parlavano in tal senso di una Italietta incapace di reggere il confronto con le grandi potenze europee): di qui il nazionalismo fascista, il suo rifarsi al modello romano-imperiale per ridare all'Italia una grandezza sulla scena internazionale;
* è stato anche sottolineato come il fascismo sia da connettersi all'esperienza della Prima Guerra mondiale: in particolare l'esperienza del cameratismo come appartenenza a un corpo collettivo militarmente impegnato (senso di dedizione a una causa comune, coraggio e sfida del pericolo, obbedienza cieca al capo), l'esperienza della violenza come valore positivo e l'esperienza dello stato come garante del bene collettivo;
* come altre forme di totalitarismo il fascismo ha una componente di collettivismo come sottolineata appartenenza a una realtà di gruppo (la squadra, la Milizia, il Partito, lo Stato): ciò diventa tanto più importante nell'epoca contemporanea, che soprattutto nelle grandi città vede una dissoluzione di antichi legami comunitari e un prorompente bisogno per l'individuo, altrimenti isolato, di aggregarsi in realtà collettive, che gli forniscano una identità rassicurante ed esaltante;
* ma più di tutto ha influito sul successo del fascismo il suo presentarsi come unica valida alternativa al pericolo comunista: dopo la Prima Guerra mondiale in effetti si verifica in Italia una forte pressione della sinistra, galvanizzata dalla vittoria del bolscevismo in Russia nel 1917. A tale ondata, che spaventa i ceti medi, la vecchia classe politica liberale (il centro moderato) non riesce a far fronte in modo credibile e deciso. Inoltre il sistema elettorale proporzionale, introdotto nel 1919, ha come effetto quello di destabilizzare la situazione politica, frammentando il panorama politico in tre grandi forze (liberali, cattolici del PPI e socialisti) tra loro incompatibili, per cui non possono nascere maggioranze stabili e forti.

Si potrebbe riassumere quanto accaduto nel dopoguerra, con uno schema del genere:
crisi post-bellica
→ aumento della sinistra
→ incapacità dei moderati di fronteggiare l'ondata di sinistra
→ ricorso crescente al fascismo, rimedio forte contro il "pericolo rosso"
punti-cardine del fascismo
totalitarismo?

Certamente nelle intenzioni di Mussolini il fascismo volle essere, e per quanto poté fu, un regime totalitario: analogamente al comunismo si propose la formazione di un Uomo Nuovo, diverso da quello che fino ad allora era stato conosciuto (limitato e incerto), e di una Società Nuova, e in vista di tal fine ("rivoluzionario": volto a un futuro mai visto più che alla riedizione di qualcosa di antico, benché non mancassero richiami all'antico Impero Romano) tutto proteso a infiammare gli animi, a mobilitare le masse entusiasmandole per tale ideale.
Nelle intenzioni del Duce c'era la volontà di sottomettere ogni cosa, privata e pubblica, allo stato, a sua volta sottomesso al Partito Fascista e quindi a Lui stesso. E in effetti vi fu un controllo sulla cultura, sull'informazione, sulla scuola, sulla vita politica, senza però riuscire a governare l'economia con la stessa capillarità del comunismo: la grande industria poté sentirsi sicura e sufficientemente libera da non rimpiangere più di tanto il liberalismo prebellico.

Ma soprattutto ciò che impedì al fascismo di essere un compiuto totalitarismo fu la presenza in Italia della monarchia e l'influenza della Chiesa, che non si lasciò mai convincere profondamente dal regime. Dunque, sopra al Duce c'era il Re: a lungo un potere formale, ma al momento giusto, nell'estate del '43, capace di riprendersi il potere reale. E la Chiesa, realtà dotata di una potente e capillare organizzazione, portatrice di una visione della realtà incompatibile con l'attivismo fascista e la sua esaltazione della violenza, se firmò con Mussolini, capo del governo italiano, l'importante accordo dei Patti Lateranensi, non abbassò mai la guardia circa le potenzialità anticristiane del fascismo, indebolendone non poco la presa sulla nazione. Non si può in effetti pensare che un paese cattolico come l'Italia avrebbe tanto facilmente aderito a una ideologia come quella di Hitler, a cui invece si prostrò acriticamente (pensiamo ai lager) la protestante e più scristianizzata Germania. Per tali motivi si parla del fascismo come di un semi-totalitarismo.
istituzioni

Tipico del fascismo, come di ogni altro totalitarismo fu il parallelismo Stato/Partito: il vero potere era nelle mani del Partito. Le istituzioni pre-fasciste in molti casi non vennero abolite (come la Monarchia e il Parlamento) ma vennero svuotate di significato. Alle forze armate e di polizia fu affiancata una Milizia di provata fedeltà ideologica, col compito di garantire la piena stabilità del regime, intimidendo, e reprimendo se necessario, ogni dissenso.
economia

A livello economico il fascismo si può sintetizzare in due idee:

* il corporativismo, come proclamata "terza via" tra capitalismo e comunismo: si trattava di impostare la vita economico-sociale in base a un principio di armonia e di unità tra le classi. Il vero spartiacque non è tra lavoratori e imprenditori, tra operai e capitalisti, come pensava Marx, ma tra le varie corporazioni, ad esempio quella dei produttori ai automobili, (vedendo unite, al loro interno, lavoratori e imprenditori)
* la forza e, da un certo punto in poi, l'autosufficienza (autarchia) dell'economia italiana rispetto all'estero: forte doveva essere l'Italia, forte dunque la sua economia e la sua moneta (si veda la battaglia per la "quota 90").

politica estera

L'Italia doveva diventare una nazione grande e potente, temuta e rispettata. Il modello era la Roma imperiale. Il colonialismo lo strumento essenziale per garantire tale ritrovata potenza: la conquista dell'Etiopia si iscrive in tale disegno, così come la politica di popolamento italiano della Libia, e poi, durante la seconda guerra mondiale la conquista dell'Albania e la tentata invasione della Grecia, nel corso della "guerra parallela".

Nazionalismo imperialista e bellicismo sono i tratti dominanti della politica estera fascista. L'alleanza con la Germania nazista, pur favorita dall'atteggiamento anglo-francese dopo l'impresa d'Etiopia, fu in tal senso un fenomeno pressoché inevitabile per la affinità ideologica dei due regimi.
cultura

Il regime controllava ogni aspetto della vita culturale, in particolare i docenti dovevano essere allineati al regime e la stampa veniva sottoposta a censura. Il cinema doveva rispecchiare i valori fascisti.

E tra i valori fascisti, quelli che avrebbero dovuto essere tipici dell'Uomo Nuovo, a immagine del Duce, importanti erano la salute e la vigoria fisica (Mussolini esortava a praticare sport), il coraggio, l'autoaffermazione fino all'arrogante volontà di imporsi senza ascoltare le ragioni dell'altro, la dedizione alla Patria e al Duce, con disponibilità anche al sacrificio. Non si può però parlare di una "ascesi" fascista per quanto concerne la sfera affettiva: se veniva incoraggiata la famiglia (e implicitamente la fedeltà coniugale) la più grande indulgenza circondava, diciamo così, i peccati di lussuria, di cui del resto lo stesso Duce dava spettacolare esempio, con una impressionante serie di infedeltà coniugali.
giudizio

Non sono mancati aspetti anche positivi nella esperienza del fascismo, ma prevalgono comunque i lati negativi:
l'aver combattuto contro il comunismo, che oggettivamente ha costituito un grave pericolo per valori umani fondamentali ma ciò non poteva anche essere fatto senza il ricorso alla violenza e alla dittatura?
aver assicurato una certa tranquillità in termini di ordine pubblico anche questo non poteva anche essere fatto senza il ricorso alla dittatura?
aver conciliato Stato italiano e Chiesa cattolica a prezzo però della soppressione del Partito Popolare e di limitazioni alla espressione pubblica del cattolicesimo

L'ideologia dell'Uomo Nuovo Fascista è inaccettabile dal punto di vista cristiano, vicina com'è al Superuomo nicciano, come pure la propensione a una soluzione dei problemi basata sulla forza e non di rado sulla prepotenza: ciò contrasta con l'antropologia cristiana, per la quale la dimensione più autentica dell'uomo non è un cieco istinto di autoaffermazione, ma la ragione, che implica la capacità di ascoltare e soppesare le ragioni e le esigenze degli altri.

Particolarmente inaccettabili pure sono le decisioni prese dal regime in tema di "difesa della razza" (si veda qua sotto, in "Testi"), come pure in generale la sua alleanza col regime nazista, portatore di una ideologia gravemente lesiva della dignità umana.

La rovina dell'Italia nella fase conclusiva della seconda guerra mondiale, con la devastante lacerazione e gli innumerevoli episodi di atrocità (è vero, non solo ad opera dei nazi-fascisti) sono il drammatico emblema del fallimento di un regime che pretendeva la grandezza dell'Italia e finì col prostrarla in una umiliazione senza precedenti.

La stessa fine di Mussolini, che pure non fa onore a chi la volle (senza alcun processo, senza rispetto per le più elementari regole di civiltà giuridica), testimonia drammaticamente il fallimento della ideologia di chi, avendo costruito per vent'anni una immagine di sè come Uomo Forte e indomabile, fuggì travestito da tedesco, terrorizzato dall'idea di essere catturato dai partigiani.

Una prova in più, non tanto dell'incoerenza di un uomo, perché non ce ne sarebbe da stupirsi, né da scandalizzarsi, quanto del fallimento della pretesa antropocentrica di costruire una umanità orgogliosamente autosufficiente, una umanità che si erge senza Dio e contro Dio (dal giovane Mussolini stoltamente sfidato con la frase: "do a Dio 10 secondi di tempo per fulminarmi. Se non lo fa, vuol dire che non esiste").
testi

Effetto serra

Effetto serra: minaccia per il Mediterraneo

Su Marte non si trovano certo grandi metropoli asfissiate dallo smog e brulicanti di gente. E difficilmente individueremo raffinerie di petrolio quando ci spingeremo a esplorare i gelidi Plutone e Tritone, luna ghiacciata di Nettuno. Neanche è immaginabile aspettarsi su Giove autostrade affollate di vetture avvolte nei fumi dei tubi di scappamento. Eppure questi pianeti, come la Terra, si stanno surriscaldando! Le ultime immagini di Giove scattate dal telescopio Hubble nel maggio 2006 hanno difatti testimoniato la crescita sulla superficie del gigante gassoso di una nuova macchia rossa, simile alla tanto celebre Grande Macchia Rossa, e ribattezzata perciò Giovane Macchia Rossa (Red Spot Jr.). Fu osservata per la prima volta nel 2000, ma negli ultimi 6 anni le sue dimensioni sono notevolmente aumentate.

Le evidenti anomalie cromatiche visibili su Giove sono in realtà dei giganteschi vortici atmosferici che si spingono fin oltre la copertura nuvolosa che avvolge il pianeta. Secondo ricercatori dell’Università della California il veloce e abnorme sviluppo della Giovane Macchia Rossa è indizio di grandi sconvolgimenti climatici in atto su Giove, associati negli ultimi anni a un rapido e intenso riscaldamento, anche di 5 °C, di alcune regioni del pianeta.
Ma c’è anche un altro spettacolare vortice che di recente ha attirato l’attenzione degli astronomi. Su Saturno la sonda Cassini ha fotografato in prossimità del Polo Sud un enorme e insolito uragano, con venti a oltre 550 chilometri orari e un diametro di circa 8000 chilometri, cioè più della distanza che separa Roma e Pechino, mentre il muro di nubi che ruota attorno all’occhio del ciclone si innalza all’interno dell’atmosfera fino a oltre 70 chilometri di quota.

COME DA NOI: PIU' CALDO, URAGANI PIù VIOLENTI

Le caratteristiche di questa tempesta, secondo studiosi del California Institute of Technology di Pasadena, potrebbero indicare uno sviluppo simile a quello dei cicloni tropicali sulla Terra: sarebbe cioè la grande disponibilità di calore (nel caso del gelido Saturno, temperature sensibilmente meno fredde rispetto al normale) ad alimentare l’uragano. Del resto sia il telescopio Keck di Mauna Kea sia la sonda Cassini avevano recentemente registrato un riscaldamento di circa 2 °C proprio nella regione del Polo Sud di Saturno.
Il surriscaldamento planetario però non si è fermato ai corpi celesti relativamente più vicini a noi, ma sembra aver raggiunto anche quelli più lontani, perennemente avvolti nel gelo siderale. Come testimoniato da ricerche del Massachusetts Institute of Technology, su Plutone dalla fine degli anni ’80 a oggi la pressione atmosferica è più che triplicata, a causa del graduale innalzamento delle temperature (circa 2 °C) che ha spinto parte dell’azoto surgelato in superficie a evaporare e passare in atmosfera. Su Tritone, invece, il fenomeno è stato ancora più marcato: dal 1989, anno del passaggio della sonda Voyager, la temperatura è passata da circa 200 a 193 gradi sotto zero, tanto che anche la sua atmosfera sta diventando di anno in anno sempre più densa. Se nel caso di Plutone l’aumento delle temperature si può in parte spiegare con la sua lunga orbita di rivoluzione, che lo porta a fare un giro intero attorno al Sole nel corso di 248 anni terrestri e che proprio nell’ultimo decennio lo ha spinto nel punto più vicino alla nostra stella, più difficile è invece trovare una spiegazione al surriscaldamento della luna di Nettuno.
E come se non bastasse, ora è giunta notizia che su Marte, dopo le voragini osservate nelle calotte polari, indizio di un recente scioglimento, la sonda Mars Global Surveyor ha fotografato tracce di erosione del suolo che potrebbero essere prova dell’occasionale scorrimento di acqua. Insomma stiamo assistendo a un riscaldamento che sembra interessare tutto il Sistema Solare.

IL RESPONSABILE? IL SOLE, MA IN MODO INSOLITO

Ma se l’uomo, almeno in questo caso, non ha colpe, chi è il responsabile del riscaldamento interplanetario?
Il maggior indiziato sembra essere il Sole. In effetti siamo spesso erroneamente portati a credere che l’attività della nostra stella sia costante nel tempo, o almeno che subisca variazioni solo su tempi assai lunghi, mentre in realtà l’energia che essa emette verso lo spazio in tutte le direzioni subisce nell’arco di anni e decenni variazioni periodiche percentualmente assai piccole ma comunque in grado di influenzare il clima della Terra. I venti e tutti i principali fenomeni atmosferici si alimentano attraverso il calore che, sotto forma di radiazione elettromagnetica, arriva dal Sole: una quantità di energia che, nel punto in cui raggiunge la nostra atmosfera, è mediamente quantificabile in circa 1367 Watt per metro quadro.
E sono proprio le cicliche variazioni dell’energia emessa dal Sole che, tra il quattordicesimo e il quindicesimo secolo, hanno spinto l’Europa e il Nord America verso un periodo estremamente freddo, noto come Piccola Era Glaciale e culminato tra il 1645 e il 1710 in una fase caratterizzata dall’assenza di macchie solari (nota come Minimo di Maunder) durante la quale il calore che giungeva sulla superficie terrestre era inferiore rispetto a oggi di una quantità tra lo 0,2 e lo 0,7 per cento. Nel corso dell’ultimo secolo invece l’attività del Sole è andata progressivamente crescendo e ha così contribuito all’aumento delle temperature sulla Terra. E mai negli ultimi 1150 anni il Sole ha emesso tanta energia come ai giorni nostri. In particolare ricercatori dell’Earth Institute della Columbia University americana, analizzando i dati raccolti da 6 diversi esperimenti con satelliti di NASA, NOAA ed ESA, hanno recentemente evidenziato un aumento dell’ordine di circa 0,05 per cento per decennio, a partire dal 1978, della TSI, sigla che corrisponde alla Total Solar Irradiance, ovvero l’energia elettromagnetica che la Terra riceve dal Sole su tutte le lunghezze d’onda.
Ma può bastare il Sole per spiegare un così evidente aumento di temperatura anche nei pianeti ai confini del Sistema Solare? Forse sì, soprattutto alla luce di una recente ricerca di Adriano Mazzarella, responsabile dell’Osservatorio Meteorologico dell’Università di Napoli Federico II. Secondo questa ricerca, oltre alla radiazione elettromagnetica, cioè luce e calore, anche le particelle cariche emesse dal Sole assumono un ruolo importante nell’influenzare il clima terrestre. I gas a temperature altissime della parte più esterna dell’atmosfera solare, la corona, fuggono in parte verso lo spazio, dando origine al vento solare: getti turbolenti di particelle cariche, per lo più protoni, elettroni e nuclei di elio che si propagano a gran velocità in tutte le direzioni. Questo flusso, interagendo con il campo magnetico terrestre, dà origine non solo a fenomeni spettacolari quali le aurore polari, ma è anche causa di serie difficoltà nelle comunicazioni: il 29 ottobre 2003, per esempio, il Sole sparò miliardi di tonnellate di particelle elettricamente cariche verso la Terra a una velocità di oltre sei milioni di chilometri l’ora. L’impatto di questa grandinata di particelle sul campo magnetico terrestre diede origine alla più grande tempesta geomagnetica mai misurata sulla Terra, responsabile tra l’altro di un black out della rete Gps che durò diverse ore.

TRE FENOMENI PER L’EFFETTO SERRA TERRESTRE

La ricerca di Adriano Mazzarella ha ora evidenziato una serie di cicli ricorrenti, lunghi 60 anni, in una serie di parametri atmosferici e geofisici, utilizzando i dati dal 1868 a oggi: la turbolenza del vento solare, la durata del giorno misurata tramite la differenza tra la durata teorica del giorno, 86.400 secondi, e quella calcolata astronomicamente, la temperatura dell’aria dell’emisfero settentrionale e l’intensità delle correnti occidentali, misurata tramite il dislivello di pressione atmosferica tra le latitudini di 35° Nord e 55° Nord.
Ma come si legano fra loro questi parametri? L’analisi del ricercatore ha prodotto una spiegazione basata su fenomeni a cascata. Un graduale aumento della turbolenza del vento solare, attraverso perturbazioni del campo geomagnetico, potrebbe influenzare i movimenti all’interno del nucleo terrestre, dove si originano le linee di flusso del campo magnetico. A causa delle interazioni tra nucleo esterno, che è fluido, e mantello terrestre, che circonda il nucleo esterno ed è solido, ciò potrebbe riflettersi in una diminuzione della velocità di rotazione della Terra. Se la Terra ruota più lentamente aumenta però la durata del giorno, sia pure di decimi di millisecondo, e questo processo è a sua volta in grado di causare un’accelerazione delle correnti atmosferiche che fluiscono prevalentemente lungo i paralleli, dette correnti zonali.
Poiché l’energia cinetica del sistema Terra–atmosfera nel suo complesso deve rimanere costante, se il Pianeta rallenta il suo moto di rotazione le masse d’aria devono quindi muoversi più velocemente. Correnti zonali più intense rendono però più difficili gli scambi di masse d’aria dalle basse verso le alte latitudini e viceversa, e quindi viene rallentata anche la propagazione del calore accumulato nella fascia tropicale verso i poli: il risultato è una diminuzione della temperatura media del Pianeta. Viceversa, nei periodi in cui la turbolenza solare tende a diminuire, la velocità di rotazione aumenta, la durata del giorno diminuisce, le correnti zonali si fanno più deboli e, grazie a una più efficace distribuzione del calore, le temperature medie del Pianeta crescono.
Ma allora, se negli ultimi anni la turbolenza solare è aumentata, perché la Terra non si raffredda? In realtà tra aumento o diminuzione della turbolenza solare e conseguenti variazioni della durata del giorno c’è uno sfasamento di qualche anno e lo stesso avviene nel passaggio che porta all’aumento o diminuzione delle temperature. Considerando tali ritardi, un graduale aumento della turbolenza del vento solare diviene responsabile di una diminuzione della temperatura dell’aria a livello planetario dell’ordine di circa 0,2 °C ma con un ritardo di 25–30 anni, seguita poi nei 25–30 successivi da una diminuzione delle temperature pressoché eguale.
Queste variazioni però si sommano al costante riscaldamento del nostro Pianeta imposto sia dall’effetto serra di origine umana, sia dall’aumento di calore emesso dal Sole: ci sono quindi periodi in cui la turbolenza del vento solare contribuisce ad accelerare il riscaldamento del Pianeta, e altri in cui invece tende a frenarlo. In particolare, poiché la diminuzione della turbolenza solare dei decenni passati ha fatto sì che negli ultimi anni la durata del giorno sia andata diminuendo, con un conseguente indebolimento dell’intensità media delle correnti zonali, nel prossimo futuro ci attendono probabilmente altre annate di caldo record.

UN 2007 ROVENTE ANCHE IN ITALIA

Agli inizi di gennaio l’ufficio meteorologico inglese ha lanciato l’allarme: il 2007 sarà l’anno più caldo di sempre! Secondo i ricercatori inglesi c’è il 60 per cento di probabilità che le temperature medie del nostro Pianeta quest’anno risultino eguali o superiori a quelle delle annate record del 2005 e 1998. In effetti due fenomeni, su tutti, potrebbero spingere il 2007 verso picchi di caldo mai toccati prima: il riscaldamento globale ed El Niño. Il primo fenomeno, causato sia dalla maggior attività del Sole (negli ultimi 1000 anni mai così «caldo» come ai giorni nostri) sia dalle emissioni di CO2, ha subito un’accelerazione proprio nell’ultimo trentennio: il ritmo di riscaldamento della Terra durante il XX secolo è stato di circa 0,06 °C per decade ma negli ultimi 25–30 anni è bruscamente balzato a circa 0,18 °C per decade. Una tendenza testimoniata dal fatto che dal 1880 a oggi le cinque annate più calde di sempre sono tutte concentrate nell’ultimo decennio.
Il surriscaldamento si è fatto sentire soprattutto alle medio–alte latitudini, Italia compresa: dall’analisi del Centro Epson Meteo in base ai dati registrati in 62 località italiane risulta difatti che le temperature medie di questi primi anni del nuovo millennio sono più di un grado superiori a quelle tipiche della prima metà degli anni ’80. Insomma, la tendenza al forte surriscaldamento dell’ultimo decennio lascia pensare che il 2007 sarà comunque un anno molto caldo, mentre la spinta necessaria a battere il record potrebbe arrivare dal Niño, ovvero dall’anomalo riscaldamento di gran parte dell’Oceano Pacifico Tropicale. Già da qualche mese è in atto un moderato episodio di Niño che, secondo il centro di previsioni climatiche dell’ente americano per l’atmosfera e oceani (NOAA), dovrebbe raggiungere l’apice proprio in questo febbraio, per poi cominciare lentamente a indebolirsi.

Tuttavia, tutti i maggiori centri di ricerca americani ed europei concordano nel prevedere che almeno fino a maggio le temperature superficiali del maggiore dei nostri oceani rimarranno più calde del normale: in tal modo però trasmetteranno calore anche agli strati atmosferici di una regione molto vasta che, dalla Nuova Guinea alle coste dell’Ecuador, si estende per più di 10.000 chilometri!
In Italia invece El Niño farà sentire i suoi effetti soprattutto durante la prossima estate: i profondi sconvolgimenti della circolazione generale dell’atmosfera che lo accompagnano difatti durante la stagione estiva solitamente spingono con maggior frequenza e insistenza (come già accaduto nelle estati caldissime del 1994, 1998 e, soprattutto, 2003) sulla nostra Penisola il rovente anticiclone africano che, oltre alla calura, porta anche forte siccità. Inoltre quest’anno ad aiutare l’avanzata dell’alta pressione africana contribuirà anche la periodica inversione della direzione dei venti stratosferici tropicali: i venti quest’estate soffieranno difatti da Est verso Ovest, indebolendo le correnti occidentali che, negli strati più bassi dell’atmosfera, spingono le perturbazioni atlantiche verso l’Europa e contrastano la risalita dell’anticiclone africano verso l’Europa.

Andrea e Mario Giuliacci

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Effetto serra: minaccia per il Mediterraneo

L'effetto serra è il fenomeno climatico di riscaldamento degli strati inferiori dell’atmosfera terrestre, causato dall’assorbimento da parte di alcuni gas della radiazione infrarossa emessa dalla Terra. L’effetto serra riveste una importanza fondamentale per gli organismi viventi, perché limita la dispersione del calore e determina il mantenimento di una temperatura costante del pianeta. Tuttavia, l’immissione in atmosfera di elevate quantità di anidride carbonica (CO2) e altri gas, dovuta alle attività industriali, ha potenziato l’effetto serra naturale e sta determinando un anomalo aumento della temperatura, fenomeno noto come “riscaldamento globale”.

EFFETTO SERRA NATURALE

La radiazione solare diretta sulla Terra è caratterizzata da onde corte, comprese nella fascia del visibile e dell’ultravioletto; dopo avere colpito la superficie del pianeta, viene in parte riflessa sotto forma di radiazione infrarossa a onda lunga, che corrisponde al calore disperso dalla Terra. Alcuni gas presenti in atmosfera si lasciano attraversare dalla radiazione solare incidente, mentre assorbono la radiazione infrarossa; in altri termini, il calore disperso dal pianeta viene in parte intrappolato nell’atmosfera, determinandone il progressivo riscaldamento. Grazie all’effetto serra, la temperatura media della Terra si mantiene intorno a 15 °C. I gas coinvolti in questo fenomeno sono detti genericamente gas serra e comprendono l’anidride carbonica (che da sola contribuisce al 70% dell’effetto serra), il metano (responsabile di circa il 23% del fenomeno) il vapore acqueo, il protossido di azoto (o ossido di diazoto), l’ozono e i clorofluorocarburi (CFC, correlati anche con il fenomeno del buco nell’ozono).

RISCALDAMENTO GLOBALE

Dalla rivoluzione industriale, l’incremento nell’uso di combustibili fossili ha causato un aumento del 30% della concentrazione di anidride carbonica nell’atmosfera, che ha raggiunto 358 ppm (parti per milione). Tale condizione si è aggravata a causa della progressiva distruzione delle foreste (deforestazione) che, eliminando le piante, ne annulla l’azione fotosintetica di riciclaggio della CO2; in questo modo, nell’atmosfera si accentua lo squilibrio tra input (immissione) e output (fuoriuscita) di anidride carbonica. Nel corso della seconda metà del XX secolo, si è registrato anche l’incremento di altri gas serra; in particolare, del metano, derivante da allevamenti di ruminanti, dalle risaie e dalle attività industriali, che è aumentato del 145%; degli ossidi di azoto, prodotti da alcune lavorazioni agricole e dai gas di scarico degli autoveicoli; dell’ozono degli strati più bassi dell’atmosfera (troposfera), prodotto per effetto di reazioni chimiche di agenti inquinanti.

L’aumento dei gas serra ha determinato dal 1860 un incremento del riscaldamento globale della Terra di 0,3-0,6°C, fenomeno che si è verificato soprattutto dopo il 1970. L’attuale tendenza sembra verso un ulteriore aumento della temperatura, che entro i prossimi cento anni potrebbe ulteriormente crescere da 1,5 a 4°C.

Effetti del riscaldamento globale

Il riscaldamento globale avrebbe gravi conseguenze per tutti gli ecosistemi; in particolare, potrebbe causare lo scioglimento delle calotte polari e comportare un netto innalzamento del livello medio marino. Il riscaldamento del globo porterebbe all’aumento della temperatura delle acque marine, specialmente vicino alla superficie, modificando le correnti oceaniche, il moto ondoso e la salinità; la geografia degli ecosistemi marini subirebbe profondi cambiamenti. In Italia, entro il 2050, potrebbe verificarsi un aumento del livello del mare di 25-30 centimetri, con un rischio di inondazione di migliaia di chilometri quadrati di aree costiere e pianure. Il ciclo idrologico sarebbe più veloce perché le temperature più elevate aumenterebbero l'evaporazione, incrementando le piogge; queste risulterebbero più copiose nelle regioni costiere, mentre nelle regioni più interne, specialmente ai tropici, le piogge diminuirebbero.

L'aumento di temperatura porterebbe allo scioglimento dei ghiacci e del permafrost e ridurrebbe la copertura nevosa invernale in vaste aree del pianeta. L’impatto sullo scioglimento stagionale delle nevi e sulla portata dei fiumi avrebbe conseguenze tali da danneggiare numerose attività umane, dall'agricoltura alla produzione di energia idroelettrica. Le praterie africane verrebbero ancor più colpite dalla siccità, con una accelerazione della desertificazione. Per quanto riguarda la produzione agricola, le variazioni regionali dei mutamenti climatici potrebbero produrre variazioni locali nei raccolti che risulterebbero più a rischio nelle aree tropicali e subtropicali. Per quanto riguarda i vegetali, sensibili ai cambiamenti climatici, un aumento di 1°C sarebbe sufficiente a eliminare molte specie.

LA NASCITA DELL’IPCC

La complessità delle possibili conseguenze del mutamento climatico del pianeta, l’interazione di fattori diversi nell’origine dell’effetto serra, la necessità di stabilire linee-guida unitarie tra i paesi maggiormente responsabili delle emissioni inquinanti, hanno indotto nel 1988 la creazione dell’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change), con sede a Ginevra, da parte di due istituti dell’ONU, il WMO (World Meteorological Organization) e l’UNEP (United Nations Environment Programme), i cui membri accedono liberamente ai gruppi di lavoro dell’IPCC. Questa organizzazione nel 1992 ebbe un ruolo essenziale nella fondazione dell’UNFCCC (United Nations Framework Convention on Climate Change), che si occupa principalmente degli aspetti politici legati al tema del riscaldamento globale.

L’IPCC ha pubblicato tre “Assessment Report Climate Change”, il più recente dei quali è del luglio 2001; il secondo, pubblicato nel 1995, fornì fondamentali dati scientifici, tecnici e socioeconomici ai rappresentanti di oltre 170 paesi, i cui negoziati nel 1997 portarono alla firma del documento noto come Protocollo di Kyoto; a tale accordo, che rappresenta un caposaldo nella strategia mondiale per arginare il problema dell’effetto serra e del riscaldamento globale, hanno fatto seguito successivi incontri internazionali in cui sono stati stabiliti limiti e strategie politico-economiche per la riduzione delle emissioni di gas-serra.

CLIMA: ESPERTI ONU, EFFETTO-SERRA RISCHIA ESSERE IRREVERSIBILE
(AGI/AFP) - Valencia, 16 nov. - Rischiano di rivelarsi "irreversibili" l'effetto-serra e, piu' in generale, le conseguenze del surriscaldamento globale del pianeta: e' l'allarme lanciato dall'Ipcc, il Comitato Intergovernativo sui Mutamenti Climatici, nella bozza di rapporto in via di completamento dopo un'approfondita analisi dei dati relativi all'impatto del fenomeno. Come riferito dal capo della delegazione francese, Marc Gillet, i contenuti del documento, che dovra' fornire ai governi nazionali le linee-guida in materia per gli anni a venire, sono stati in linea di massima approvati dagli esperti internazionali dell'Ipcc, riuniti a Valencia, dopo un'intera notte di trattative. "Le attivita' umane potrebbero condurre a cambiamenti del clima improvvisi o irreversibili", recita il testo concordato. L'ente scientifico, quest'anno co-assegnatario del premio Nobel per la Pace insieme all'ex vice presidente americano Al Gore, e' stato istituito nel '98 su iniziativa di due agenzie specializzate dell'Onu: l'Organizzazione Meteorologica Mondiale, o Wmo, e l'Unep, il Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo. La relazione sara' ufficialmente adottata domani nella localita' iberica; seguira' una conferenza stampa cui partecipera' lo stesso segretario generale del Palazzo di Vetro, Ban Ki-moon. (AGI)